L’atrio è affiancato da due scale in metallo, nelle quali Berna-Bümpliz e barocco formano un connubio eccellente: come l’architetto Andrew Hall ha trovato ispirazione in un palazzo romano e il metalcostruttore Mike Tillack ha eseguito l’impegnativo compito artigianale di installarla.
L’atrio dell’edificio D è largo appena 9,70 metri ma lungo 52. Per gestire questa angusta prospettiva e stabilire un punto focale, una scala a chiocciola a ovest e una a est mettono in comunicazione tutti i piani dal piano terra al quinto. Anziché usare trombe delle scale chiuse, le persone si muovono in un ambiente aperto tra i vari piani. Essendo una via di comunicazione, la scala appartiene allo spazio.
Oltre ad avere un’importanza funzionale, svolge soprattutto un ruolo sociale. «Il compito è anche quello di sviluppare un’architettura che consenta lo scambio», afferma Andrew Hall, capo architetto del pianificatore generale Aebi & Vincent Architekten. Su ogni piano, ai piedi della scala ci sarà uno spazio collettivo provvisto di distributori automatici di spuntini e bevande. Questo spazio consentirà a tutti di incontrarsi in maniera piacevole. L’idea dell’atrio romano – luogo d’incontro centrale – è stata così realizzata non solo al pianterreno, ma estesa a ogni piano, raggiungibile attraverso la scala e fruibile in un ballatoio simile a un balcone: apertura e incontro quale atteggiamento fondamentale, anziché privacy e distinzione.
«Volevamo concepire le scale in modo molto simile a quelle negli edifici già finiti nella prima fase. Ma lo spazio a nostra disposizione era molto più esiguo», spiega Andrew Hall, e aggiunge: «Non era possibile né geometricamente né esteticamente, né tanto meno in termini di materializzazione. Che fare dunque, visto che non era possibile una tromba delle scale formata da elementi in calcestruzzo? All’inizio abbiamo provato con una scala circolare, ma non funzionava in termini di spazio. Abbiamo pertanto continuato a perfezionare l’idea della geometria circolare in base al contesto in cui ci trovavamo e cercato referenze nella storia dell’architettura, fino a quando la scala ovale si è rivelata essere la soluzione giusta: abbastanza forte da fungere da pendant armonioso alla ripetitiva architettura di sistema», continua Hall.
La referenza decisiva nella storia dell’architettura è stata la scala elicoidale ideata dall’architetto ticinese Francesco Borromini intorno al 1630 per il barocco Palazzo Barberini a Roma, la cui forma di base ovale è armoniosa e trasforma il percorso tra i vari piani in un’esperienza spaziale unica. «Il nostro obiettivo non è fare design», prosegue Hall. «Vogliamo fare le cose a dovere. Ci vuole un certo intuito, si tratta di seguire il proprio istinto, il proprio cuore e la propria mente. Quando disegno una pianta vedo la terza dimensione e ho subito capito che avrebbe funzionato per l’edificio D».
Verificare la fattibilità della visione richiede tempo e pazienza. Il disegnatore edile Sascha Zürcher disegna piante; uno studio di ingegneria esterno verifica se l’idea è realizzabile in termini di statica. «Questi processi di controllo sono importanti. Alla fine è molto emozionante sapere che funzionerà», conclude Hall.
Già ora la scala alta 18,20 metri ha una presenza tranquillizzante, sebbene sia montata nella sua materialità grezza, 15 tonnellate di acciaio, e non ancora dipinta color antracite. I 104 gradini saranno realizzati nello stesso terrazzo che riveste i pavimenti dell’atrio e dei ballatoi. Un corrimano in quercia si estenderà lungo tutto il percorso dal primo all’ultimo gradino.
Lo sguardo al disegno rivela un bel gesto: ai piedi della scala e alla sua estremità superiore nel quinto piano la forma si distacca leggermente dall’ovale, aprendosi a mo’ di braccia spalancate che danno il benvenuto.
Andrew Hall (*1976) ha studiato architettura all’Accademia di Architettura di Mendrisio. Dal 2002 lavora nella sua professione ed è da 14 anni presso A&V Architekten a Berna.
A volte capita che metalcostruttori siano sospesi nello spazio come scalatori per preparare le operazioni di montaggio e saldare tra loro le parti metalliche. Mike Tillack e la sua squadra installano le due scale.
Fabbrichiamo parti in metallo, ad esempio scale, ringhiere o tetti. Sono elementi creati su misura in officina e in seguito assemblati in cantiere. In questo progetto sono il caposquadra responsabile dell’installazione delle scale. Il mio collega esegue le saldature, perché possiede le specifiche competenze e dispone del necessario patentino da saldatore. Lavoriamo sempre studiando accuratamente i compiti da svolgere e preparandoci di conseguenza. Ognuno fa quello che sa fare meglio.
È importante una buona preparazione. Ogni metalcostruttore deve saper leggere i disegni e mettere correttamente in pratica le informazioni ivi contenute. Se il lavoro non viene eseguito con precisione, non riusciamo ad assemblare le scale.
Ciascuna scala è formata da 15 elementi a due fianchi, con gradini e parte inferiore in lamiera d’acciaio. Ogni elemento pesa circa una tonnellata, cioè come una Volkswagen Up. Calandoli all’interno dell’edificio dobbiamo quindi prestare la massima attenzione a non danneggiare il calcestruzzo a vista. Se un peso del genere va a sbattere contro un solaio o contro lo zoccolo in vetro nel quale sarà successivamente inserito il parapetto trasparente, sarà tutt’altro che facile riparare il danno.
Si deve semplicemente stare attenti. Facciamo questo lavoro già da qualche anno e l’esperienza aiuta l’arte. Perciò durante questi lavori non ci sono apprendisti, perché non sanno ancora dove posizionarsi o mettere mano. Indossiamo imbracature di sicurezza e le funi danno sempre fastidio. Se non si sta attenti si rischia di inciamparvi. Mi è già capitato di vedere qualcuno che pensava di spingere con la mano anziché con un utensile in legno per posizionare correttamente l’elemento... Questo lavoro funziona solo se svolto in squadra e se ognuno sa quali forze sono in gioco.
Raramente svolgiamo operazioni di saldatura per tutto il giorno. Al contrario del passato, oggi gli elmetti da saldatura hanno uno schermo di colore chiaro che si scurisce solo quando volano scintille. E gli occhiali sono utili per svolgere il lavoro in sicurezza: durante la saldatura vengono rilasciati forti raggi ultravioletti. Se non ci si protegge, alla sera la pelle del viso e delle braccia sembra essersi presa una scottatura solare. E la piccola finestra aiuta a focalizzare con precisione lo sguardo. Il lavoro del saldatore è molto impegnativo e richiede la massima concentrazione se si vuole che un cordone di saldatura tenga nel tempo.
Mi è sempre piaciuto smanettare sulle auto, e per questo ho imparato il mestiere di fabbro di veicoli. Il mio primo posto di lavoro è stato in uno stabilimento che nell’allora RDT al confine con la Polonia produceva le Trabant. I miei genitori avevano una fattoria dove c’era sempre qualcosa da riparare. Il nostro villaggio contava una decina di case, alle spalle c’erano due chilometri di campi e otto chilometri di bosco. Abbiamo costruito da soli ciò che volevamo, ad esempio delle dune buggy con cui guidare sulla sabbia.
Moltissimo. Da quando ho concluso l’apprendistato nella fabbrica di automobili ho sempre lavorato nel settore delle costruzioni. È vero che è dura, ma lo è per tutti in questo campo. Spesso discutiamo in gruppo se un muratore o un elettricista abbia la vita più facile, ma credo che non sia semplice per nessuno.
Vengo dalla Germania dell’est, ho vissuto un paio d’anni a Berlino, in Olanda e da 17 anni sono in Svizzera. I miei colleghi provengono da tutta Europa. Siamo una squadra internazionale di gente in gamba che sa fare il proprio mestiere! Tutti sanno cosa c’è da fare. Tutti si rispettano e solo insieme riusciamo a ottenere un risultato. È così nella mia squadra e lavorando insieme agli altri operai.
Abito in una fattoria nei pressi di Schwarzenburg BE. Da lì posso vedere le montagne; ho spazio per fare un po’ di bricolage; un paio di amici vivono vicino. Mi alzo alle 6, bevo un caffè, ne porto con me un secondo in auto e vado in cantiere. Lunedì mattina sono in officina per programmare la settimana. Poi sappiamo cosa c’è da fare e lavoriamo in cantiere per il resto della settimana. Il nostro capo ci lascia carta bianca. Sappiamo infatti quali lavori bisogna fare e quali non sono ancora finiti. Lavoriamo in piena autonomia. E siamo fieri di ciò che facciamo.
La scala è agganciata nell’apposita apertura ovale predisposta tra i vari piani dell’edificio. Ogni cordone di saldatura deve essere passante. La maggior parte delle persone vede solo l’enorme gru che in due giorni movimenta i pesanti elementi prefabbricati della scala. Ma molti non si rendono conto che in seguito ci vorranno almeno quattro settimane prima di finire di installare la scala.
... talvolta pensiamo, una volta montata la struttura in acciaio, che non è poi così bella da vedere. Ma poi viene il pittore e dipinge il metallo, il vetraio installa il parapetto e sui gradini poggiano le lastre di pietra, ed ecco che all’improvviso ci sembra una cannonata!
Sono troppo grande e grosso per una Trabant e poi quest’auto non ha riscaldamento. Ad essere sincero, a parte qualche nostalgico della Germania dell’est, nessuno trova bella quest’auto. Potrei disassemblarla pezzo per pezzo e riassemblarla. Ma guidarla, a 110 km/h al massimo? No, grazie!
Mike Tillack (*1968) ha imparato il mestiere di fabbro di veicoli. Ha lavorato nella produzione di automobili, nel settore estrattivo e nella costruzione di turbine in Germania e in Olanda. Da 17 anni lavora in Svizzera come metalcostruttore presso la Karl Zimmermann AG, con sede a Berna-Bümpliz. Questa azienda è una delle maggiori imprese private a offrire posti di apprendistato nel settore della carpenteria metallica nella regione di Berna.